Come funziona la clausola di non impugnazione del testamento?
- sofiazanelotti
- 24 lug
- Tempo di lettura: 2 min
Quando una persona vuole prevenire liti fra i propri eredi, può affiancare alle disposizioni patrimoniali una minaccia implicita: se qualcuno contesterà il documento in tribunale, perderà l’eredità. Questa è la logica di fondo delle clausole di decadenza. Non si tratta di un capriccio: nella pratica notarile il testatore spesso teme che la sua volontà venga stravolta da dispute familiari o da azioni legali “al ribasso” per ottenere di più.

Che cos’è, in concreto, la clausola di decadenza
La legge qualifica la clausola come condizione risolutiva: l’assegnazione dei beni è valida finché non si verifica un evento futuro e incerto — l’azione giudiziaria dell’erede. Se ciò accade, l’attribuzione “si scioglie” con effetto retroattivo, come se quell’erede non fosse mai stato chiamato. Non parliamo di semplice perdita di un termine (la “decadenza” tecnica dell’art. 2964 c.c.), ma di un vero meccanismo sanzionatorio che punisce il comportamento contrario alla volontà del defunto.
Il divieto di impugnare il testamento è sempre legittimo?
Gli studiosi si dividono.Da un lato, c’è chi lo ritiene nullo perché limiterebbe il diritto costituzionale di difesa (art. 24 Cost.). Dall’altro, la corrente oggi maggioritaria sottolinea che nessuno ha un “diritto a ereditare” in senso assoluto: fuori dai diritti del legittimario, la successione dipende dalla libertà del testatore. Quindi la clausola è valida se l’evento che fa scattare la sanzione è lecito, possibile e non contrario all’ordine pubblico (art. 634 c.c.).
Quando la clausola regge e quando si annulla
Valida se impedisce soltanto azioni private (es. una contestazione sulla quota disponibile) e non tocca le quote di riserva.Nulla se pretende di bloccare cause “pubblicistiche”: chi è leso nelle quote di legittima potrà sempre agire in riduzione; parimenti, resta libera la via giudiziaria per far valere l’incapacità naturale del testatore o altri vizi fondamentali.
Decadenza generale, specifica o parziale: tre scenari raccontati
Generale: Mario inserisce nel testamento una clausola che fa cadere tutte le disposizioni se uno qualunque degli eredi lo impugna. Se la figlia contesta, perde anche la moglie che era rimasta in silenzio.
Specifica: Lucia stabilisce che solo l’erede “ribelle” verrà estromesso; gli altri restano indenni.
Parziale (riduzione): Carlo nomina eredi i due figli in parti diseguali e avverte: chi farà causa conserverà soltanto la quota di riserva. In pratica, allo scattare della condizione la prima attribuzione si risolve e ne sopravvive una seconda, più piccola, già programmata.
Come si fa valere (o contestare) la clausola?
Secondo una tesi, la perdita dei beni è automatica appena l’azione sbarca in cancelleria: l’effetto risolutivo nasce prima ancora della sentenza. Un’altra visione richiede invece un giudizio ad hoc promosso da chi beneficia della decadenza, per far accertare che l’onerato abbia davvero violato il divieto. Nella prassi forense, la seconda strada garantisce maggiore certezza perché un tribunale dovrà verificare la tempestività e la natura dell’impugnazione.
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