top of page

Patto di famiglia: come funziona per imputazione, riduzione e collazione

  • sofiazanelotti
  • 14 ago
  • Tempo di lettura: 3 min

Quando si parla di patto di famiglia, si entra in una zona particolare del diritto successorio, dove le regole classiche dell’eredità incontrano l’esigenza di garantire la continuità dell’impresa di famiglia. Ma cosa succede, concretamente, a livello di imputazione, riduzione e collazione? E soprattutto: queste attribuzioni si ricalcolano in successione oppure restano “blindate” dal contratto?

patto di famiglia

Che cos’è il patto di famiglia e perché crea dubbi

Con il patto di famiglia, l’imprenditore trasferisce a titolo gratuito l’azienda o le partecipazioni societarie a uno dei suoi discendenti, che diventa così l’assegnatario. In cambio, quest’ultimo è obbligato a liquidare gli altri legittimari (ad esempio fratelli o coniuge) nella misura della loro quota di riserva.


In pratica, il genitore si priva subito dell’azienda senza ricevere un corrispettivo, e i legittimari non assegnatari vengono “tacitati” con somme calcolate sulla base del valore aziendale. Il problema nasce quando, alla morte del disponente, si apre la successione: quel trasferimento deve essere ricalcolato nel patrimonio ereditario (riunione fittizia) oppure è fuori gioco per sempre?


La prima tesi: il patto di famiglia entra nel calcolo successorio

Secondo una parte della dottrina, ciò che viene assegnato con il patto di famiglia è pur sempre una liberalità. Quindi, al momento della successione, il suo valore dovrebbe essere riunito fittiziamente al resto del patrimonio per verificare se le quote di legittima siano state rispettate.

In questa visione, l’operazione è simile a una donazione: se il figlio assegnatario riceve un valore superiore alla sua quota di legittima, questo “extra” deve essere considerato per evitare che finisca con l’avere più di quanto gli spetta.

Ecco perché si richiama l’art. 556 c.c., che regola proprio la riunione fittizia delle donazioni.


Un esempio pratico:

Tizio trasferisce l’azienda al figlio Primo (valore 400.000 €), che liquida la madre e il fratello con 100.000 € ciascuno. Poi Tizio dona alla moglie una casa al mare da 200.000 € e lascia, per testamento, tutto il resto (400.000 €) a una fondazione.Riunendo tutto (azienda, donazione e patrimonio residuo), il valore complessivo dell’asse è 1.000.000 €.La quota di legittima di ciascun erede diretto sarebbe 250.000 €.Primo, che al netto delle liquidazioni ha ricevuto 200.000 €, avrebbe diritto ad altri 50.000 €; il fratello Secondo a 150.000 €; la moglie Caia sarebbe già oltre la sua quota e non potrebbe chiedere altro.

Questa tesi tutela l’equilibrio tra gli eredi, ma può riaprire i giochi anche molti anni dopo la stipula del patto.


La seconda tesi: il patto di famiglia è “blindato”

L’altro orientamento – oggi molto seguito – vede il patto di famiglia come un patrimonio autonomo, del tutto sottratto alla disciplina successoria.

In questo scenario, l’attribuzione è definitiva: alla morte del disponente non si fa alcuna riunione fittizia, e ciò che è stato trasferito resta escluso dai calcoli.

Chi sostiene questa tesi interpreta in senso restrittivo anche l’imputazione ex se prevista dall’art. 768-quater c.c.: non si tratta di un obbligo di ricalcolo tecnico, ma di un meccanismo per garantire che i legittimari non assegnatari, accettando il patto, rinuncino a qualsiasi futura pretesa su quei beni.


Lo stesso esempio di prima, ma con questa impostazione:Il valore dell’azienda (400.000 €) non entra nel calcolo successorio. Il relictum più il donatum ammontano a 600.000 €, con una legittima di 150.000 € per ciascun figlio. In questo modo, entrambi i figli potrebbero agire per ottenere tale importo, senza considerare quanto già ricevuto dal patto. La moglie Caia, con la donazione della casa da 200.000 €, risulterebbe già

soddisfatta.


Riduzione e collazione: fuori dall’arena

Il legislatore ha chiarito un punto fermo: quanto ricevuto in un patto di famiglia non è soggetto né a collazione né a riduzione (art. 768-quater, comma 4, c.c.).Questa esenzione riguarda sia il beneficiario dell’azienda sia i legittimari che hanno ricevuto la liquidazione.


La logica è semplice: il patto di famiglia serve a dare stabilità alla gestione aziendale e non deve essere messo in discussione dopo la stipula.


In sintesi

Il dibattito rimane aperto tra chi vorrebbe conteggiare il valore dell’azienda nel calcolo della legittima e chi, invece, lo considera definitivamente escluso. La scelta dell’una o dell’altra impostazione può fare una differenza enorme nella futura divisione ereditaria, e per questo ogni patto di famiglia andrebbe progettato con attenzione, valutando non solo l’aspetto aziendale ma anche quello successorio.


Se stai pensando di stipulare un patto di famiglia o vuoi capire come inciderà sulla tua eredità, parlane con un professionista che conosca bene la materia. ForLife ti accompagna in ogni fase, dalla pianificazione alla tutela dei tuoi diritti. Prenota ora un appuntamento e visita il nostro sito www.forlifesrl.com

 
 
 

Commenti


bottom of page